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 Sesto Prequel - IL SOGNO DI REBECCA

 

IL SOGNO DI REBECCA  
 

 

Fine agosto 20..
Qualche giorno dopo ‘Tieni duro, Mauro Cavalieri’
Due mesi e mezzo prima di ‘Dio salvi il Gigante’


 

Terracina, Italia.

Il sole era ormai in fase discendente e disegnava arabeschi dorati sull’acqua che lentamente conquistava il bagnasciuga. Ma continuava a fare caldo. Terribilmente caldo.

Mauro si trovava ancora a Piazza Armerina, in Sicilia. Maurizio Serpentini non era ancora rientrato dai suoi impegni ‘improrogabili’ e Di Belardino si era imposto, confermando che a suo avviso l’ispettore Cavalieri poteva tranquillamente svolgere le mansioni di routine legate a quella missione perlopiù burocratica.

Non so se la situazione fosse tranquilla come Di Belardino voleva far intendere, ma era indubbio che quel ritorno sul campo fosse vitale per Mauro. Lo avevo sentito molto più rilassato al telefono, sebbene superindaffarato. Rapporti, cene di lavoro, incontri, fotografie.

Riuscivo a figurarmelo mentre scriveva al computer, stringeva le mani agli amministratori della Villa del Casale, camminava tra quei mosaici antichi con un caschetto sul capo ed una macchina fotografica tra le mani.

Quando sarebbe tornato operativo a tutti gli effetti?

Non ne avevo idea.

Mr. Collins aveva puntato terribilmente su Mauro Cavalieri. Lo aveva stimato profondamente. Ed era rimasto incredibilmente deluso dai fatti di Tallinn e Lida. Forse per questo la punizione era stata ancora più violenta ed ingiusta.

Mauro Cavalieri non si era comportato come avrebbe dovuto (ma c’era veramente un comportamento diverso che Mauro avrebbe dovuto tenere? Io ancora oggi non saprei dirlo…) ed avrebbe dovuto pagare per questo. E che la sua punizione diventasse di esempio anche nei confronti degli altri ispettori disseminati in ogni angolo del mondo.

Mi alzai un po’ e mi poggiai sui gomiti.

I piedi affondati nella sabbia che iniziava a rinfrescarsi.

Anche quella giornata stava per finire. E non sapevo se esserne felice o meno.

Da due settimane mi trovavo a Terracina, ospite di Agla assieme a Rebecca. Il giorno era sempre molto più semplice e tranquillo da affrontare. Lo passavamo in spiaggia, sul pattino, a leggere un bel libro sotto all’ombrellone. Ma la sera non era affatto così.

Agla amava trascinarci alle feste sulla spiaggia, dove imperava la musica sparata a mille, dove cavalieri improvvisati invitavano le ragazze a ballare, dove ci si divertiva tra un aperitivo e qualche dichiarazione fasulla dettata dalla luna che si rispecchiava sulle onde del mare.

Né Rebecca né io amavamo partecipare a quelle feste. Né, aggiungerei, Agla.

Rebecca era ricercatissima, era vero. Si era lasciata crescere un po’ i capelli, aveva gli occhi più profondi che mai e la sua bellezza sfuggente non faceva altro che aumentare il suo fascino. Ma lei non aveva molta voglia di corteggiatori da strapazzo o di balli che ‘sballavano’ fino a notte fonda. Di base rimaneva un’atleta che preferiva alzarsi all’alba e correre sul lungomare deserto e prepararsi alla nuova stagione di pallavolo. E soprattutto, non aveva la minima voglia di distrarsi dai suoi pensieri. Dal suo desiderio che quel cellulare tornasse a squillare per portarle notizie del suo Andrea Polidori, praticamente scomparso dopo la fine della stagione agonistica.

Io d’altronde non avevo mai amato quel tipo di incontri così concitati, così immersi in una realtà che non mi apparteneva. La sera avrei preferito camminare sulla spiaggia ad ammirare la marea che si alzava e giocava con la sabbia. O passarla vedendo una bella commedia romantica in dvd o gustandomi un gelato seduta tra le rocce di Monte Giove. Senza tralasciare il fatto che ogni volta che partecipavo a quelle feste non solo nessuno si occupava di me, facendomi crescere dentro un senso di inadeguatezza e di sollievo al tempo stesso, ma mi tornava in mente sempre, sempre, quello che era accaduto a Lida, il trucco di Maarja, la fascia di Toth, la delusione di quello sguardo. No. Non amavo quelle feste sulla spiaggia.

E poi c’era Agla. La più apprezzata. La più amata. Non saprei contare i ragazzi che in una settimana le chiedevano di uscire, che le offrivano un drink, che la invitavano a ballare, che le proponevano una gita a due. Agla rideva e scherzava ma rifiutava. Sempre. Non che fosse ancora scottata da Zack. No. Ma nessuno le toccava minimamente il cuore. Tuttavia lei era Agla. La ragazza più in della spiaggia. E questo era il suo divertimento. Ma non era neppure così. Vedeva questo come il ruolo che le era stato cucito addosso e non poteva disattenderlo. Sarebbero sorte domande, pettegolezzi. Sarebbero rinati velenosi commenti sul suo cuore spezzato da Zack, che era viceversa ancora innamorato (!) di Elena Longobardo. Ci si sarebbe domandati cosa offuscava quel volto così angelico. E così Agla voleva sfoggiare in continuazione la maschera della ragazza allegra e divertita. Ma non se la sentiva di essere sola e chiedeva a noi di farle compagnia.

Un cane abbaiò in lontananza.

“La spiaggia si sta svuotando”, Agla si mise a sedere.

“E’ quasi ora di cena”, confermai affondando maggiormente i piedi nella sabbia.

“Stasera dove dobbiamo andare?”, domandò Rebecca svogliatamente.

“Ragazze, ma scherzate? Non dobbiamo andare da nessuna parte!”, esclamò Agla. “C’è la festa al Lido, ma se non avete intenzione possiamo tranquillamente rimanere in casa”, si fermò un attimo, poi ammiccò. “Ma ovviamente sono costretta a ricordarvi che l’aria condizionata a casa mia funziona moooolto poco”.

“Mi piacerebbe rimanere a casa, oggi”, ammise Rebecca. “Dopodomani inizia il torneo di beach”.

“Lo so. Ma ti ho detto che è solo misto”, si afflosciò Agla. “Anche a me avrebbe fatto piacere partecipare. Insieme li avremmo stesi”, rise.

“Troverò qualcuno, dai”.

Il cane abbaiò nuovamente.

Un gesto di amichevole comando lo zittì.

“Penso anch’io”, mi intromisi. “Voglio dire… mi sembra che quell’Amedeo si era dichiarato disponibile”, mi misi più eretta. Anche a me avrebbe fatto piacere riprendere la palla tra le mani. Ma se ero piccola per il volley, ero proprio inadatta al beach. Potevo giocarlo tra amici, non in un torneo satellite del circuito italiano.

“Ha ragione Lisi. Mi ero scordata. Amedeo sarebbe perfetto. In altezza ci siamo e con la difesa se la cavicchia”, si elettrizzò Agla.

Sopracciglia scure si aggrottarono lentamente.

“Allora è deciso”, Agla balzò in piedi. “Stasera solo insalata e carote… e un po’ di melone, che ne dite?”.

“Guarda che Amedeo non ha ancora accettato”, Rebecca si distese in un sorriso. “Però ok per una cena leggera”, strusciò i piedi fino alla battigia. Non aveva voglia di alzarsi.

“Ci penso io a convincerlo, non ti preoccupare”, si divertì Agla.

“Attenta, che c’è il pericolo che Amedeo giochi con Agla in questo modo”, le presi in giro.

“Lisi! Sei perfida”, Agla mi colpì con un asciugamano. “Sai che non lo farei mai”.

“Tu no. Ma Amedeo, sì”.

“Ma se va dietro a Rebecca da quando è arrivata! Dove vivi, Lisi?”.

Labbra sottili si strinsero.

E il cane riprese ad abbaiare.

“Non dire sciocchezze Agla…”, Rebecca si immerse a guardare il mare. “Amedeo è solo un ragazzo che ha piacere di un po’ di compagnia. E’ stato mollato prima dell’estate e vuole divertirsi”, si alzò in piedi.

“Io non la vedo così… però…”, cincischiò Agla.

“Guarda che giocare con te o con me per lui sarebbe uguale”, si voltò rapida. Il vento le attorcigliava i capelli scuri ancora bagnati. Il costume rosa e marrone le modellava il corpo. Sabbia ancora attaccata lungo le gambe, sui gomiti.

“Io sono d’accordo con Rebecca”, confermai.

Rebecca fece un passo indietro.

“No, p…”, iniziò Agla.

Rebecca non ci stava più ascoltando. Né tanto meno guardando.

“Cosa succede?”, domandai stupita. E mi voltai a mia volta.

(segue...)

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