Il Mondo di Mauro & Lisi

 

 

Premio Speciale 'Lisi' al concorso letterario 'M&L a Roma'
 

 UN ENIGMA AL COLOSSEO
 

di Margherita Ragone
della Scuola Elementare "Principessa Mafalda"

 1| Una notizia spiacevole.

Un anno di scuola all'estero finito. Trecentosessantacinque giorni volati via come il vento. E finalmente... l'estate!
Io identifico questa stagione come un periodo di completo relax, di letture in giardino, di passeggiate lungo i torrenti, di risate e di vacanze. Questo potrebbe corrispondere all'estate se io non fossi la sorella di Mauro Cavalieri, l'Ispettore UNESCO stimato e pieno di responsabilità. Infatti si ripresenta un'occasione per cacciarmi nei guai. Io, Lisi, cittadina romana e molto... intraprendente. Fin troppo, forse.
Io e mio fratello eravamo in Irlanda per uno scambio culturale, in cui avevamo passato un anno in casa dei nostri corrispondenti.
Quel giorno vidi Mauro spalancare gli occhi davanti ad una scritta a caratteri giganti sul giornale, e fiutai un'altra avventura mozzafiato.
“Mi ero ripromessa di non lasciarti mai partire da solo”, gli dissi in tono autoritario “ed infatti non lo farò. Ma prima sarebbe opportuno sapere cos'è successo stavolta!”.
Mauro lesse ancora per un po', poi alzò lo sguardo e mi comunicò che dei reperti archeologici nel Centro Storico di Roma erano scomparsi. “Il Patrimonio dell' Umanità italiano è stato rubato. Presso il Centro Storico di Roma, più precisamente nel Colosseo, erano presenti reperti archeologici, quali vasi, armi e statue, ora quasi tutti spariti. Rimasti sono dei frammenti di spade, di scudi e di arieti, ma ormai il monumento è quasi completamente spoglio. Non si hanno sospetti, si è trovato solo un coltellino con un gatto egiziano intagliato. Ciò non ha rivelato niente alla polizia, che dichiara di essere in un vicolo cieco. Tocca all' UNESCO intervenire per salvare il Patrimonio Romano al più presto.” “Ho già controllato. L' aereo parte tra un giorno. Per un membro dell'UNESCO sarà facile prenotare. Pensi che anche questa volta riuscirai a combinare disastri?”, incalzò mio fratello.
“Non lo escludo” sorrisi io, maliziosa. 'Che bello!' pensai, 'si torna a Roma!' Ma poi la raccomandazione di Mauro mi distolse dai miei pensieri.
“Non ti immischiare nella faccenda: potrebbe essere pericoloso. Me lo prometti?”.
“Te lo prometto” gli risposi.
Ma voi mi conoscete bene, e sapete che io non sono brava a mantenere le promesse...

2| Incontri

Eravamo in aeroporto, quando vidi tre uomini correre per i corridoi. “Si fermi, si fermi! La avverto, potrei ammanettarla in qualsiasi momento!”.
Un poliziotto con un accento africano stava rincorrendo un borseggiatore che aveva afferrato il portafoglio di un uomo. Poi si accorse che lo stavo guardando e mi rivolse un sorriso smagliante e furbo. “Salve, Pascal Rahremush, al suo servizio.”
Ricambiai il sorriso ma gli ricordai del ladro che stava scappando.
“Ah, già, lui. Lui non rappresenta una minaccia per la comunità. Ecco”, lo raggiunse con sorprendente velocità e gli sequestrò il portafoglio. “Lei, giovanotta, si aggira tutta sola in un aeroporto così vasto?”.
Gli spiegai che ero venuta con mio fratello, Ispettore dell'Unesco. Per un attimo mi sembrò che il suo viso si facesse scuro, poi prese parola mantenendo la sua espressione gaia. “E' molto lodevole che suo fratello così giovane contribuisca a salvare i Patrimoni dell'Umanità. Anch'io sono venuto qui per questo.” Mi mostrò il suo distintivo, abbassò il suo cappello blu e disse, modesto: “Faccio del mio meglio per la pacifica convivenza ed il salvataggio della nostra cultura.”
Mi sembrò un uomo davvero amante del suo lavoro e gli strinsi la mano. “Se è così, complimenti: lei svolge un ottimo lavoro!”.
Il poliziotto sembrò apprezzare il complimento tanto da scoppiare in grosse risate, il che mi lasciò un po' perplessa, ma si trattenne e ribatté “Faccio quello che posso.”
Allora gli feci un cenno con la mano, feci per girarmi ma inavvertitamente mi scontrai con un ragazzo. “Mi scusi, io non volevo...” E quale ragazzo?
“Lizzie! Sei proprio tu? Incredibile!” Kieran era raggiante, e di certo sorpreso quanto me!
“Dove vai?” gli chiesi incuriosita: era da tanto che non ci vedevamo!
“Al Colosseo.”
“Ci vado anch' io!” Wow, una coincidenza dopo l' altra, che fortuna!
Kieran mi sorrise, ma poi divenne serio. “Senti, Lizzie... perché parlavi con quel tizio?” Mi indicò il poliziotto.
“Beh...” ma allora Mauro mi diede uno strattone. “Dobbiamo andare o perderemo l'aereo!”
Salutai Kieran ed aggiunsi: “Ci vediamo sull' aereo, allora! Ciao!”.
Mi salutò con un cenno del capo, ripresi a camminare. Rivolsi un ultimo sguardo a quel tale Pascal: non mi ero girata in tempo per vederlo restituire il portafoglio al signore, evidentemente...

3| Un fatto strano in aereo

Guardando dal finestrino dell'aereo, vedevo poche nuvole, perché il tempo era bello, ma abbracciavano l'aereo in modo da creare l'atmosfera di un regno incantato. Il regno che potevo ammirare dal finestrino era sconfinato, davvero regale e sentii che mi salutava. Se pensate che in Irlanda piova sempre, vi sbagliate: allora il sole era raggiante, e con i suoi raggi mi dava un addio pieno di nostalgia. Io mi sentivo così: avevo molta nostalgia. Ma ripensavo alla sicurezza che mi dava stare nella mia casetta a Roma e così mi facevo coraggio.
L'atmosfera era calda e piacevole ed io ero intenta a leggere un libro, quando un signore ci si avvicinò: “Lei... lei è Mauro Cavalieri? Ispettore UNESCO? Faccia qualcosa!”.
Mauro guardò l'ometto con aria stupita e gli chiese “Cosa la turba?”.
“Faccia qualcosa, la prego!”.
Mauro pensò che fosse uno scherzo e fece un gesto di noncuranza all'uomo. A me però la faccenda suonò strana: come era possibile che quell'uomo non avesse minimamente pensato di rivolgersi a Pascal Rahremush, il poliziotto che si era dimostrato tanto gentile con me? Strano. Troppe stranezze. E quando ci sono stranezze e coincidenze, c'è anche Elisabetta Cavalieri, la sottoscritta. Ragionai sulla promessa che avevo fatto a Mauro: beh, la faccenda non sembrava tanto pericolosa, quindi non c'era motivo di stare alla larga. Era deciso: avrei indagato. Ma non c'erano abbastanza fatti strani e\o preoccupanti e non avevo uno straccio di indizio che mi portasse a qualche remota conclusione! Ma li avrei trovati. Non da sola, avrei avuto l'aiuto del mio amico Kieran. In fondo, non c'è niente di male nell'avere un aiutante, per un detective. Come Holmes e Watson. Ma se volevo veramente risolvere questo caso, non dovevo perdere di vista molte persone: Kieran, Rahremush, l'ometto, il ladruncolo di prima... insomma, non avevo tempo da perdere: ogni momento era buono per indagare. Nel preciso istante in cui mi sporsi per controllare se avevo letto bene sul giornale di Mauro, cioè che il coltellino egiziano era sparito, vidi l'ometto imbavagliato e una mano che lo spingeva dentro alla cabina di controllo. Non riuscii a vedere chi lo spinse lì dentro. Forse l'uomo aveva commesso qualche furto, o forse aveva infastidito il suo vicino di volo, ma mi sembrava una maniera troppo brutale per ammonirlo. Non potevo far finta di non aver visto: andai dalla hostess e le chiesi se avesse visto quello che era appena successo.
“Io non ho visto niente”, disse fissando la cabina del guidatore. “Gradisce qualche sacchetto per eventuale mal di stomaco? Ricordi che il giubbetto di salvataggio si trova sotto al sedile. Sarà opportuno che se lei avverte qualche disturbo allo stomaco prenda il sacchetto...”.
“Signorina, con tutto il rispetto, secondo me lei ha visto quello che ho visto io!”, sbottai, mantenendo però un tono educato.
“Lei cosa ha visto?”, lo disse con un tono un po' ingenuo, un po' nervoso, un po' sfidante.
“Io ho visto un uomo che entrava nella cabina di controllo spinto da una mano...”.
La hostess mi guardò come se stesse davanti ad una pazza scatenata. “Io credo che questo non possa essere possibile. Nessuno ha accesso alla cabina del guidatore. Sarebbe pericoloso. Perciò, nessuno ha il permesso di entrarci.”
Ora sembrava davvero seccata. Certo che era testarda! Io l' avevo visto, non c' era dubbio! E, non so perché, mi sembrava che questo fatto avesse a che fare con il caso... Così, ribattei: “Senta, signorina, io difendo questa idea per la sicurezza dell' aereo! Ci può essere qualche malintenzionato qui, ed io sostengo la mia tesi proprio per evitare questo! La prego, mi ascolti, io sono qui per questo!”.
Io mi mantenni pacata, ma fu lei a sbottare questa volta. “Sa, per questo c'è il personale. Questo è il mio lavoro, ed io lo voglio svolgere con assoluta tranquillità, senza interruzioni inopportune. E sinceramente, credo proprio che lei abbia avuto un' allucinazione.”
Stavo per risponderle, quando Mauro mi ammonì con un gesto della mano, allora pensai 'Ci manca solo il battibecco con la hostess!', per questo rinunciai a risponderle a tono, e dissi, un po' forzata: “Grazie. Forse ho avuto un' allucinazione.”
Assurdo. Troppe cose assurde. Ed eravamo solo in aereo, non volevo neanche immaginare cosa sarebbe potuto succedere a Roma!

4| Finalmente un indizio!

Stavo leggendo il mio libro quando il mio sguardo si posò su un angolo del sedile. Mi sporsi e vidi nientedimeno che... il coltellino egiziano! Non poteva essere una coincidenza. Questo coltello mi avrebbe rivelato molte cose sul ladro. Punto primo: probabilmente era anche un assassino; punto secondo: si trovava in questo aereo. “Beh, finora solo questo, ma è già qualcosa...” dissi ad alta voce.
Tutti mi guardarono. Ok, un'altra cosa che dovevo fare era tenere l'indagine segreta, a tutti e soprattutto a mio fratello, che già mi guardava storto. “Il libro è molto appassionante, mi sembra di esserne la protagonista!” incalzai.
“Fingo di crederti.”, si girò e continuò a leggere il suo giornale. Non credo che si fosse accorto di qualcosa.
“Allacciare le cinture di sicurezza, prego. Fasten your seat belts, please”, gracchiò una voce metallica. Era il momento dell'atterraggio. Fu regolare. Il guidatore non dovette affrontare particolari turbolenze, e atterrammo velocemente. Meglio, avrei risparmiato tempo. Ne serviva molto per le nostre indagini. Ricapitoliamo: coltellino egizio, modello unico, indagine segreta, ladro in questo aereo. Grazie a queste riflessioni rischiavo di restare in aereo! Non mi muovevo dal sedile mentre la voce intimava di scendere. Solo dopo il leggero pizzicotto di mio fratello mi “svegliai” e scesi dall'aereo.
“Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento” mi disse la hostess. “Grazie mille, lo è stato, hostess-che-non-ha-visto-niente” le risposi, con un filo di risentimento. Lei sembrò capire e ribatté con un sorrisetto un po' forzato.
Scesi dall'aereo e camminai fino all' aeroporto: lì tutto era ordinato e tranquillo ma, in qualche modo, mi sentii stringere lo stomaco: dov'erano i sospettati? Dove erano finiti? Dovevo subito rintracciarli tutti. Mentre Mauro stava parlando ad una guardia, spiegandogli quanto era importante amare i Patrimoni dell' UNESCO, andai a cercare tutti. Prima Kieran, il mio Watson, e lo trovai con molta facilità, e poi cercammo gli altri. Niente ladruncolo. Trovammo l'ometto e Pascal Rahremush.
“Che cosa le è successo?” chiedemmo all'uomo ancora impaurito ma libero da qualsiasi bavaglio.
“Niente, io sono stato seduto tutto il tempo. Scusate, ma devo andare.” Corse di fretta fuori e prese un taxi. Poi spostammo lo sguardo verso il poliziotto. “Tutto regolare” e si allontanò fischiettando.

5| I conti non tornano.

Io e Kieran ci guardammo stupiti, poi lui mi disse: “Stanno coprendo qualcuno. Io non mi fiderei del poliziotto.”
Lo guardai scettica. “E' per via della tua antipatia verso la polizia?”
Lui mi rispose: “Per tutte le birre del mondo, no! Stammi a sentire: è un viso familiare. Un volto losco.”
Io lo squadravo. Stavo per ribattere quando vedemmo un biglietto a terra. C'era scritto a caratteri eleganti: “Hotel Panama”. Noi sorridemmo, raggiunsi Mauro e gli dissi che sarei andata un attimo all'albergo di Kieran (ehi, è stata una piccola bugia a fin di bene, non potete rimproverarmi!). Lui rispose di sì, raccomandandoci di stare attenti; allora prendemmo un taxi ed andammo all'Hotel Panama.
Arrivati, mostrai il mio documento alla receptionist, che mi riconobbe come la sorella dell'Ispettore UNESCO, le mostrammo il biglietto dell'albergo e lei annuì. Mi sfuggiva il nome di quel poliziotto, allora dissi: “Stiamo cercando un nostro amico africano”.
Le si illuminò il volto e disse: “Pascal Rahremush alla 217, Mohamed Gens alla 121.”
Udito il primo nome, scattai alla 217 e bussai alla porta. Mi aprì l' ometto. “Mi scusi, Pascal Rahremush dov' è?” Gli chiesi un po' perplessa.
Lui, ancora più perplesso, rispose: “Sono io Pascal Rahremush!”.
“Mi scusi, ma ciò è impossibile: chi era allora il poliziotto?”.
Lui si guardò intorno, circospetto, e poi disse: “Il suo nome è Mohamed Gens. E' un pazzo. Pensavo di rivolgermi alla polizia, ma lui mi ha imbavagliato e mi ha trasportato nella cabina di controllo, mi ha imposto di non dire niente, e minacciato con un coltellino egiziano. Poi, quando lei mi ha chiesto spiegazioni io non ho potuto dire niente, dato che c'era lui.”
Allora mi venne un lampo di genio e corsi al Commissariato a consegnare il coltellino egiziano. Poi ritornai alla 217 e cominciai a parlare con il vero Pascal. Stavo per andarmene, quando una mano afferrò me e lui. Kieran corse via, il che mi sorprese, ma non era la cosa più sorprendente.
Mohamed Gens ci aveva rapiti.
Portati non so dove.
Anzi, forse lo so: nella sua stanza.
A chiave.

6| Aiuto, aiuto!

Mohamed chiuse la porta a due mandate e disse a Pascal: “Cosa ti è saltato in mente? Non ti hanno insegnato a non parlare a vanvera? Scusalo, signorina, ma...”.
“Ma niente! Lei è un farabutto! Pascal Rahremush mi ha raccontato tutto! Lei, è stato lei a imbavagliarlo. Pascal mi ha detto tutto. E spero le sia ben chiaro come a me che Pascal non è lei!”.
Il ciarlatano mi guardò male e disse, vendicativo e nervoso: “Fantastico, ma io ho il mio piccolino. Morirete all'istante, e non potrete raccontare nulla! Ahaha!”.
Mohamed Gens si mise la mano nel taschino della giacca. La infilò, sicuro. Frugò, preoccupato. Perlustrò la tasca nella sua modesta grandezza, terrorizzato. Allora capii che cosa stava cercando. Il coltellino! Ora era tutto chiaro! Mohamed Gens era egiziano!
“Non credo lo troverai, il tuo amato coltellino... sai, ti ho fatto una sorpresina. Ho pensato che sarebbe stato meglio darlo alla polizia, dato che ho visto il tuo nome intagliato. Ho raccomandato loro di controllare meglio sul manico e... beh, credo che si stiano già mettendo al lavoro per acciuffarti!”.
Mohamed era preoccupatissimo. Ormai non aveva via di scampo.
L'avrebbero messo in prigione, non appena trovato. Ma mi venne il dubbio che avessi fatto male a provocarlo. “Almeno posso uccidere te” disse sempre più nervosamente vendicativo. Mi si stava avvicinando. Mi avrebbe tirato calci e pugni e sarei andata all'ospedale. Forse mi restava poco da vivere, quindi contemplai un'ultima volta quello che avevo: la vecchia giacca che avevo messo a Lussemburgo, con tutte le corde e i bavagli con cui mi avevano legata... Ma certo! Passai a Pascal le corde e i bavagli e gli sussurrai, senza farmi notare, di andare dietro a Mohamed, e poi dissi a Gens, con una finta rassegnazione: “Ormai è finita per me...”.
Mentre lui rifletteva su questa mia disperazione così improvvisa, Pascal gli legò le corde attorno a braccia e gambe e lo fece sedere sulla poltrona. Semmai quello che avevo detto poco prima valeva per Mohamed Gens, perché nessuno di noi lo sapeva, ma la polizia era molto vicina...

7| Kieran risolve la situazione

Ora racconterò quello che intanto succedeva al piano di sotto in base a quello che mi ha raccontato Kieran.
Aveva chiamato l'UNESCO, la polizia e i carabinieri all'albergo Panama. In più, erano venuti un sacco di giornalisti e curiosi.
Si era ripetuta più o meno la stessa scena di prima, quando siamo entrati io e Kieran, solo che avevano dichiarato di essere degli addetti alla sicurezza internazionale, componenti dell'UNESCO, giornalisti del New York Times e de La Repubblica e gente venuta per dare una mano nel ritrovare i reperti. Eh già, tutti avevano letto la scritta in corsivo Mohamed Gens, cosa non proprio furba da parte del ladro perché così lo hanno rintracciato. Però all'inizio non sapevano proprio dove andare, perché non sapevano di nessun ladro con questo nome, ma Kieran ha indicato la strada, e chi con taxi, chi con la propria macchina e chi con dei furgoni sono arrivati in quell'hotel. Nel momento in cui stavamo legando Mohamed, cioè alle 4:30 di pomeriggio, loro stavano nella reception e chiedevano alla signorina di prima: “Mohamed Gens alloggia qui, vero?”
Lei disse loro in che camera si trovava e loro si diressero a passo di marcia verso la stanza numero 121. Quando arrivarono, videro Mohamed legato come un salame, lo slegarono e lo ammanettarono. Mentre lo portavano via, io canzonai: “Beh, meno male che tu potevi ammanettare in qualsiasi momento!”.
Lui mi guardò in cagnesco, ma non fu l'unico: l'altro a guardarmi così era Mauro. “Mi sembrava che qualcuno, Lisi credo, avesse promesso di non immischiarsi...”.
“Mai detto” dissi io, alzando le mani “ma anche se l'avessi fatto, ho risolto il caso, giusto?”.
“Non posso darti torto” si arrese Mauro. Era questo il modo per dimostrarci il reciproco affetto fraterno.
Mentre i membri dell'UNESCO aprivano i cassetti da cui spuntavano quintali di reperti archeologici del Colosseo (tra cui un pezzo di questo monumento!), Kieran mi si avvicinò “Non sei niente male come detective” ammise.
“Però non ce l'avrei mai fatta senza di te, Watson!” esclamai.
Ridemmo per un po', poi lui mi disse: “Charlie aveva ragione su tutti, tranne che su di te. Sei proprio a posto, al contrario di quello che ha detto lui. Beh... che ne dici di scambiarci i numeri di telefono? Almeno rimarremo in contatto.”
“Forse potresti venirmi a trovare, qualche volta. Ti assicuro che preparo delle ottime frittelle, e a Mauro stai molto simpatico.” Lui annuì e ci scambiammo i numeri di cellulare, poi lo salutai.

8| Ritorno a casa

La missione era compiuta. Tutto si era rimesso a posto. Ed in più, era estate, ed eravamo liberi di fare ciò che ci andava. Ripensai all'Irlanda, ai suoi prati verdi ed all'anno che avevo passato lì e mi venne un po' di nostalgia, ancora una volta. Ma poi guardai dal finestrino della macchina di Mauro: avevo davanti una delle più belle città d'Italia, con una storia incredibile e con tantissimi luoghi stupendi. Roma, la città che mi aveva sempre ispirato dolcezza e poesia, che ora profumava di pini, di fiori e splendeva come una gemma. Ed ecco che, mista alla nostalgia per l'Irlanda, c'era la voglia di riparlare con Agla e Rebecca, di riabbracciarle, di leggere e leggere e leggere sul divano.
Tutto questo stava per accadere: arrivata davanti alla porta di casa, Roma aveva quel suo ammaliante cielo sereno che riempie il cuore in quella bellissima mattinata, e Agla e Rebecca erano davanti a me.
“Estateeeeeeeeeeeee!!!”, urlò Agla correndomi incontro ed abbracciandomi.
“Ora ci devi raccontare tutto ma proprio tutto quello che è successo!” si assicurò Rebecca.
Entrammo in casa e le mie amiche salutarono Mauro. “E' davvero gentile tuo fratello!”, dissero in coro.
Io alzai gli occhi al cielo e feci una risata, da lì cominciò il coro di risa che provocò la domanda di Mauro: “Perché ridete?”.
“No, per niente, niente.”, disse Agla, che stava per scoppiare a ridere – di nuovo –.
Poi però ci facemmo tutte serie e io cominciai a raccontare: “Non sapete cos'è successo! E' stato bellissimo il viaggio, davvero bello! Naturalmente mi sono messa nei guai, ma procediamo con ordine... Ah, incredibile, ho incontrato Kieran!”.
“Quel ragazzo irlandese che avevi conosciuto a Lussemburgo?”.
“No! Incredibile!”.
“Lo so, incredibile! E poi, naturalmente, mi ha dato un aiuto con le indagini!”.
“Di nuovo?!”.
“Vabbè, dopo ce lo dici meglio. Dài, racconta!”.
Quello era l'inizio di un'estate indimenticabile.

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